di Gian Domenico Veggi
Nel cimitero comunale di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, si trova la tomba del garibaldino Vittore Lugaresi, qui nato nel 1849 e morto nel 1931 ad Arezzo, volontario nelle campagne del 1866 e del 1867. In cima alla composizione spicca il monumentale gruppo scultoreo in bronzo nel quale Garibaldi incita due garibaldini alla Vittoria, mentre la dea alata aleggia sulla composizione. Nella sua sepoltura – vero monumento alla fede garibaldina – Lugaresi volle che venissero ricordate le battaglie a cui aveva partecipato: Bezzecca e Mentana. Nella tomba, costruita per se e per i suoi, oltre ai ritratti a bassorilievo dei membri della famiglia, spicca il busto bronzeo dello stesso Vittore, naturalmente col cappello garibaldino.
Ricordiamo brevemente le due campagne alle quali Lugaresi aveva partecipato. Nel 1866, allo scoppio della III Guerra di Indipendenza contro l’Austria per unire il Veneto e il Trentino all’Italia, Giuseppe Garibaldi raccolse intorno a sé circa 40.000 volontari. Non pochi erano giovani che desideravano portare a compimento l’unità nazionale. Uno di questi era Vittore Lugaresi che avendo solo 17 anni probabilmente mentì riguardo all’età al momento dell’arruolamento come garibaldino, dichiarando di averne 18.
I garibaldini furono inviati nel Trentino, male armati, male equipaggiati e con scarsa artiglieria. Garibaldi con la sua innata abilità di comandante riuscì però ad essere sempre vincitore negli scontri con le temibili truppe da montagna tirolesi.
La battaglia finale di Bezzecca, vinta dalle camicie rosse, lasciva libera la strada per conquistare Trento, quando la nostra alleata, la Prussia, firmò un armistizio col comune nemico. All’Italia, pur sconfitta a Custoza e Lissa, l’Austria dava il Veneto, ma pretendeva che il Trentino fosse sgomberato dalle truppe garibaldine. Il generale Garibaldi rispose con il laconico “Obbedisco”, ma la delusione sua e dei volontari fu amarissima.
L’anno seguente Garibaldi decise di liberare Roma per dare la capitale all’Italia. Al suo appello risposero oltre 7.000 volontari, in buona parte romagnoli. I garibaldini erano male equipaggiati e male organizzati, senza cibarie e con armi scadenti. Unico successo della campagna fu la presa della cittadina di Monterotondo, ad opera dei romagnoli comandati da Eugenio Valzania. Nel tentativo di avvicinarsi a Roma i volontari dovettero affrontare un tempo inclemente con piogge torrenziali – erano i primi di novembre ma pareva inverno inoltrato – e la mancanza di vettovaglie.
Per ordine di un bagnacavallese, mons. Lorenzo Randi, Ministro di Polizia e Governatore di Roma, le porte della Città Eterna furono chiuse e rinforzate. Inoltre le truppe pontificie rimasero asserragliate dentro l’Urbe. Tutto ciò non permise a Garibaldi di entrare nella città per mezzo di una sortita, come era il suo piano. Frattanto Napoleone III, protettore del papa, aveva inviato un forte contingente militare. Così rinforzate le truppe papali attaccarono a Mentana i volontari di Garibaldi e con il contributo determinante dei francesi li sconfissero. La battaglia fu l’ultimo episodio del nostro Risorgimento in cui una minoranza di volontari tentò un colpo di mano. Mentana fu considerata da Garibaldi e dai suoi una “sconfitta vittoriosa” per aver combattuto da soli contro le truppe papaline e francesi ed osteggiati dal governo italiano.
Vittore Lugaresi non dimenticò mai il suo passato di patriota e di ammiratore di Garibaldi. Emigrato in Sud America fu a capo del Circolo garibaldino di Montevideo (Uruguay) e là organizzò la raccolta di fondi per donare una corona di bronzo al Monumento ai caduti della Grande guerra che si trova nella piazza di Bagnacavallo. In una fotografia, conservata nella Biblioteca del Museo del Risorgimento di Bologna, possiamo vedere Vittore in divisa garibaldina attorniato dai reduci della Battaglia di San Antonio del Salto, combattuta da Garibaldi in Uruguay nel febbraio 1846. Tra i veterani garibaldini si può vedere anche un afro-americano. Inoltre pur dimorando negli ultimi anni in Toscana volle essere sepolto a Bagnacavallo e commissionò allo scultore lughese Alfeo Bedeschi (1885 – 1971), figlio di Romeo suo compagno d’armi, quella che è stata definita “la più bella tomba garibaldina della nostra regione”.